Barbiana
CENTRO DI FORMAZIONE E RICERCA DON LORENZO MILANI
insieme a Barbiana
ASSEMBELA GENERALE
La quarta Assemblea Generale del Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani si terrà presso l’ostello Antico Piviere, frazione Caselle 68 - 50039 Vicchio (Firenze) domenica 18 maggio 2025 alle ore 11.00, in concomitanza con il viaggio a Barbiana nei luoghi di don Lorenzo Milani promosso dal sindacato.
Salutiamo commossi Adele Corradi!
Il Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani si stringe commosso a tutte e tutti coloro che hanno voluto bene ad Adele Corradi, amica del priore e interprete di una scuola autenticamente milianiana.
Verbale Terza Assemblea Generale
L’Assemblea Generale si è svolta domenica 11 maggio 2024 a Camagna Monferrato, presso la sede nazionale del Centro, in un clima di serena cooperazione, confermando che il Centro di Formazione è disponibile per interventi nelle scuole dedicati a Milani e all’esperienza di Barbiana, laddove invitati da gruppi di docenti o di studenti, prosegue l’opera milaniana di alcuni insegnanti aderenti che cercano per quanto è loro possibile di praticare e promuovere il metodo di una scuola partecipata ed emancipata volta alla costruzione dei saperi.
Si è auspicato un maggior radicamento del Centro sul territorio nazionale, l’avvento di nuove adesioni e la speranza dell’arrivo di qualche contributo volontario, a oggi infatti non vi è nessuna entrata a bilancio e tutto si svolge su base volontaria, con ricaduta economica sugli aderenti stessi.
È stata manifestata la volontà di impegnarsi contro l’alternanza scuola – lavoro, di fatto un appalto di manodopera gratuita offerta dallo stato a imprenditori privi di scrupoli, contro le mafie, il razzismo, le guerre, per l’amicizia tra i popoli, la pace e la cooperazione internazionale, dando un significativo contributo a un clima internazionale di dialogo e non a rinnovate e sbagliate contrapposizioni che fomentano le culture di morte e di odio e la corsa al riarmo. Investire in granai, questo il nostro auspicio, non in armamenti, come insegnava il presidente Sandro Pertini.
Si raccomanda infine di promuovere al meglio il sito https://barbiana.jimdosite.com/ che contribuisce in modo significativo per la conoscenza delle nostre attività e del pensiero milaniano.
Verbale a cura del coordinamento nazionale
per il centenario del priore
PER IL CENTENARIO DI DON MILANI
https://www.passionelinguaggi.it/2023/05/01/tornare-alle-parole-di-don-lorenzo-milani/
INTERVENTO per la rivista PASSIONI E LINGUAGGI del coordinatore del Centro di Formazione e Ricerca Davide Rossi
Tornare alle parole di don Lorenzo Milani, battersi contro l’abbandono scolastico e per il coinvolgimento delle scuole parentali
INTERVENTO per la rivista PASSIONI E LINGUAGGI
di
Davide Rossi
Segretario Generale del Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente
Coordinatore nazionale del Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani
Un buon prete. È enorme la mia tristezza quando partecipo a convegni in cui si ricorda la figura del più grande pedagogista italiano del Novecento - don Lorenzo Milani - e vedo svilita e svuotata la sua opera, ridotta a quella di un buon prete compassionevole che voleva tanto bene ai poverelli. Per carità, il priore è stato certamente un buon prete e le lezioni di catechismo domenicali per i suoi ragazzi portano ancora, per chi abbia la pazienza di leggerle, il segno di una freschezza che anticipa il Concilio Vaticano II, svoltosi dentro un fervoroso confronto tra posizioni ecclesiali spesso contrastanti, negli ultimi anni del suo impegno come parroco a Barbiana, ma poi il resto della settimana, dal lunedì al sabato, lui e le figlie e i figli di quei contadini e montanari, cacciati dalla scuola pubblica che lo stato repubblicano e la Costituzione avrebbero dovuto includere e aiutare, lo passavano nella sala attigua a quella chiesetta, con le carte geografiche e i grafici del parlamento italiano - legislatura dopo legislatura - capaci di occupare ancora oggi a imperitura memoria tutti i muri di quella canonica sgomberata da paramenti sacri e da incensi in cui per volontà di don Lorenzo Milani pure il crocifisso è stato messo nel cassetto, perché la scuola è un’altra cosa e la fede, quando è sincera, uno deve portarsela dentro, non attaccarla ai muri.
Don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi in “Lettera a una professoressa” hanno scritto: “Le maestre sono come i preti e le puttane, si innamorano alla svelta delle creature, se poi le perdono, non hanno tempo di piangere. Il mondo è una famiglia immensa. C'è tante altre creature da servire. È bello vedere di là dall'uscio della propria casa. Bisogna soltanto essere sicuri di non aver cacciato nessuno con le nostre mani.”
Invitato a parlare di don Lorenzo Milani, di solito lascio parlare lui, perché incipriare i suoi insegnamenti con i nostri arzigogoli serve a poco, anzi rischia di essere fuorviante. Quando dico che il priore chiede ai docenti di amare i propri discenti più di quanto lo facciano i preti e le puttane, prima di ricordare la citazione, inizio a essere guardato con stupore, quasi con sgomento.
Quando invito a scrivere all’ingresso delle scuole, tutte, che la scuola sarà sempre meglio della merda, ottengo, quando va bene, sorrisi bonari, in vent’anni non son mai riuscito a convincere un collegio docenti o un dirigente scolastico della giustezza dell’affermazione milaniana, né nelle scuole in cui ho insegnato e insegno,né in quelle in cui sono stato invitato a paralare del priore e della scuola di Barbiana, eppure loro hanno scritto: “Lucio, che aveva 36 mucche nella stalla disse: la scuola sarà sempre meglio della merda. Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole.”
Quando dico che un professore senza idee e passioni, che vanno onestamente manifestate e dichiarate ai propri studenti, non è un buon insegnante, sempre ricordando “Lettera a una professoressa”, leggo sconcerto negli occhi degli astanti, anche perché “l’insegnante che boccia, boccia se stesso.”
Quando aggiungo che don Milani ha scritto che un apolitico equivale a un fascista, gli ascoltatori quasi infastiditi non ci credono, eppure: “La maggioranza dei compagni che ho trovato a Firenze non legge mai il giornale. Chi lo legge, legge il giornale padronale. Ho chiesto a uno se sa chi lo finanzia: nessuno, è indipendente, mi hai risposto. Non vogliono saperne di politica, uno, a sentirmi parlare di sindacato, lo confondeva col sindaco. Dello sciopero hanno sentito dire soltanto che danneggia la produzione, non si domandano se è vero. Tre sono fascisti dichiarati. 28 apolitici più 3 fascisti eguale 31 fascisti”. È proprio don Milani a ricordare che “voler bene al povero … significa … fargli capire che soltanto facendo tutto al contrario dei borghesi potrà passar loro innanzi e eliminarli dalla scena politica e sociale”, ancora lui nello spettacolare e pirotecnico incontro con direttori e presidi a Firenze il 3 gennaio 1962 ad affermare: "io dico a un ragazzo: onora lo sciopero come la più alta espressione della tua dignità di uomo. Lo sciopero è un sacro istituto accettato dalla nostra Costituzione. Io a un ragazzo dico: sciopera sodo domani.”
D’altronde per don Lorenzo Milani “una scuola che seleziona, distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”, anche perché “la lotta di classe quando la fanno i signori è molto signorile e non scandalizza né i preti, né i professori che leggono L'Espresso”, dunque, concludeva il priore, “se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato e privilegiati e oppressori dall'altro, gli uni sono la mia patria e gli altri i miei stranieri”.
Era dunque un infuocato rivoluzionario? Un protomarxista? Non credo proprio. Don Lorenzo Milani è stato semplicemente un uomo che ha dedotto con radicalità sorprendente e illuminante il prepotente impatto sociale degli insegnamenti evangelici e in particolare del comandamento cristiano dell’amore per il prossimo, facendone un impegno umano e didattico per la concreta e totale emancipazione dei poveri e degli esclusi dalla scuola pubblica, non contentandosi di una caritatevole, malcerta e inconcludente compassione, ma ritenendo che fosse necessario agire nella concretezza della realtà per cambiare il presente – suo e nostro - in vista di un migliore e più dego futuro, per lui in fondo “l'insegnante deve essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinando negli occhi dei ragazzi le cose belle che si vedranno chiare domani è che noi vediamo solo in confuso”.
Gianni Rodari, recentemente riscoperto per quello che è, ovvero uno dei giganti della letteratura italiana e mondiale del Novecento, così ricordava il 1° ottobre 1967 il priore di Barbiana sulle pagine di “Paese sera” a pochi mesi dalla sua scomparsa: “Una violenta denuncia della nostra scuola è contenuta in "Lettera ad una professoressa" in cui gli allievi di don Milani hanno narrato la loro esperienza scolastica e illustrato i frutti delle loro ricerche. Il libro è un po' un testamento del prete toscano, ma non spirituale, meglio dire di lotta. Un libro urtante, "cinese", addirittura, in certe affermazioni da "rivoluzione culturale". Non risparmia nessuno. Di una sincerità a volte brutale. Con tutto ciò, il più bel libro che sia mai stato scritto sulla scuola italiana, il più appassionante, il più vero. Vi si respira e misura la rivolta, l'aspirazione inarrestabile alla cultura, la volontà di cultura a tutti costi in cui si muta una profonda presa di coscienza dei propri diritti. Vorremmo consigliarlo a tutti gli insegnanti italiani, perché, nella sua durezza, è un appello alla grandezza della loro missione: anche nella critica ingiusta è un canto d'amore verso la scuola.”
Si pone tuttavia, al di là di un metodo didattico ben delineato dalle parole del priore, il capire come intervenire sulla realtà odierna della scuola. Due sono i problemi urgenti e poco affrontati nel tempo presente, ovvero l’abbandono scolastico e le scuole parentali, che credo meritino una risposta.
Oggi spesso i docenti sono vittime di aggressione da parte di genitori scalmanati che protestano per una insufficienza, che sia cambiato il metodo educativo rispetto al passato non vi è dubbio, che il rispetto per le istituzioni e per la scuola in particolare sia sempre più esile, per non dire inesistente, è altrettanto vero. Vi è certamente un’educazione delle nuove generazioni che non fortifica il carattere, ma moltiplica le fragilità, troppi però oggi restano esclusi dalla scuola, si perdono per strada o più precisamente noi docenti abbiamo perso, dovendo ragionevolmente assumerci le responsabilità che ci appartengono. Sempre più ragazze e ragazzi, dalle medie alle superiori, abbandonano la scuola, travolti dall’ansia, dalla paura, dalla stanchezza, da situazioni di improvvisa aggressività subita ed esercitata, da una incapacità di reggere le prove, le verifiche e le valutazioni. Ogni anno scolastico in Italia centomila ragazzi finiscono bocciati per le assenze, per poi ingrossare la dispersione scolastica, sommando fragilità economiche e psicologiche, personali e familiari. Sembrava, come sempre in Italia, un problema meridionale, proprio a Napoli si sono inventati un decennio fa i maestri di strada, docenti che non stanno a scuola, ma vanno in giro per i quartieri a recuperare i giovani che la scuola ha perso, costruendo percorsi didattici immaginati proprio per loro, calibrati sui loro bisogni e sulle loro possibilità, portandoli a conseguire almeno quel diploma di terza media senza il quale oggi non si può più fare nulla. Tuttavia questo non è più un problema meridionale, da Trieste a Siracusa, passando per tutte le città, grandi e piccine, il numero dei giovani che chiudono la porta di casa, o a volte addirittura della loro camera, per non uscire più, è cresciuta in modo esponenziale, oltrepassando di molto le cifre statisticamente accertate. I ritmi di studio, invero sempre più blandi, le conoscenze richieste, invero sempre più modeste, c’entrano molto poco, si dice e si ripete che queste ragazze e questi ragazzi non reggano i ritmi di studio, in realtà è un coacervo esplosivo di emozioni e sentimenti che turbina dentro di loro e li rende, purtroppo, sempre più estranei alla scuola, come luogo di costruzione dei saperi, come spazio di socialità con i coetanei, la mediazione informatica dei loro cellulari e dei loro computer lenisce, insieme alla distanza da tutto e da tutti, l’ansia sociale e la paura di sbagliare. Reggono soltanto quelle classi in cui milanianamente il e la docente amano chi si trovano davanti.
Insomma la dispersione si trasforma presto in abbandono scolastico, sono giovani che poi con facilità abbracciano un rapporto ugualmente complicato con il cibo, in taluni casi allontanandosene, in tal’atri immergendovisi, altri ancora incidono il loro corpo, chi tatuandolo ovunque possibile con la speranza che quelle immagini siano parole capaci, gridate dalla loro muta pelle, di arrivare agli altri, tuttavia col rischio che scoloriscano col tempo o peggio non appartengono più loro nel mutare delle loro età, altri, come i monaci dei monasteri medievali, cercano nel dolore sanguinante della carne la più immediata e brutale conferma del loro essere ancora vivi.
A queste realtà in ogni caso preoccupanti e con poche risposte, si affianca la scelta di molti genitori di promuovere personalmente o a gruppi scuole parentali, per superare quei vincoli, quelle barriere, quegli ostacoli che hanno impedito la partecipazione attiva e positiva dei genitori alla comunità educante scolastica, ma li ha visti preoccupati, straniati da un rapporto dettato da dinamiche meccaniche, prive di quella capacità di ascolto che coinvolge e rende partecipi. Dobbiamo inoltre ammettere che la maggioranza di queste comunità educative sono pregevoli per abnegazione, per impegno, per dedizione didattica, di più, in molti casi sono capaci di tenere a scuola giovani che altrimenti si perderebbero. Alcune, poche, funzionano male, non ce lo nascondiamo, ma l’esame annuale di passaggio alla classe successiva è il primo elemento sanzionatorio che obbliga queste scuole stesse a interrogarsi sul percorso da loro realizzato.
Ora a noi si pongono alcune domande in merito a quale rapporto si debba avere con queste comunità scolastiche che hanno intrapreso la via dell’educazione parentale. Ho ascoltato troppe volte un atteggiamento un po’ sprezzante, quasi che le critiche poste da tali realtà educative al sistema scolastico nazionale fossero del tutto improprie, o ancora si rimproverasse loro che sottraendo studenti al percorso pubblico e statale si mettessero a rischio alcune cattedre e dunque alcuni posti di lavoro. Tuttavia, poiché le scuole parentali, così come la dispersione, sono realtà esistenti e non eludibili, occorre decidere come scuola pubblica con quali modalità relazionarsi con le prime e affrontare poi il dramma della dispersione. I genitori di questi ragazzi sono contribuenti a tutti gli effetti della scuola pubblica e statale, dunque è compito dell’istruzione pubblica e statale farsene carico. Noi proponiamo che per le scuole parentali, sulla base di un reciproco apprezzamento e una reciproca disponibilità, docenti della scuola pubblica possano essere distaccati come insegnanti di queste realtà, con elementi di tutoraggio non impositivo, ma partecipativo del percorso scolastico e anche momenti didattici veri e propri, purché concordati con le scuole parentali stesse. I docenti poi potranno anche partecipare ai collegi docenti della loro scuola di provenienza e titolarità, per allargare la conoscenza di queste realtà all’interno dei percorsi ordinari.
Uno scambio che generi dunque relazione e ricchezza didattica, che contribuisca alla partecipazione e all’innovazione, che si faccia carico di tutte e tutti e che non lasci nessuno indietro.
Ugualmente in ogni provincia dovrebbe essere creato un contingente di docenti di strada, proporzionato e determinato dal numero di studenti di ogni livello e grado che abbiano abbandonato la scuola negli anni scolastici precedenti. Compito di tali docenti sarà monitorare le situazioni, dialogare con le ragazze e i ragazzi, costruire dove possibili percorsi individualizzati che li portino a rientrare a scuola o almeno a sostenere gli esami per non perdere l’anno. Occorre una grande campagna sociale di recupero alla scolarità e dunque alla socialità di tutte e tutti quei ragazzi che hanno chiuso la porta di casa e della loro camera e hanno messo la scuola e il mondo oltre loro stessi. È la scuola per prima che deve cercare di aprire quelle porte, di restituire a quelle ragazze e a quei ragazzi il mondo, passando appunto per la scuola, per l’amore per la vita, per la cultura, per i saperi, per le tante esperienze appassionanti che squarciano - attraverso lo studio - davanti alla nostra coscienza mondi prima ignoti, perché nessuno di noi conosceva Dante o Michelangelo prima che un libro di casa, un genitore, un fratello, un professore ci aiutasse a conoscere quello che prima non conoscevamo.
Dovrebbero essere dunque definiti i contingenti dei docenti da destinarsi alle scuole parentali e ad affrontare la dispersione scolastica, con un unico vincolo, che tali docenti debbano aderire su base assolutamente volontaria, formando graduatorie separate, ovvero che siano animati da un lato da un rispetto ricambiato da parte delle scuole parentali, dall’altro – sul tema della dispersione - che sappiano come siano chiamati a svolgere un ruolo delicatissimo, volto a salvare il diritto costituzionale dell’istruzione per giovani che sono in una situazione di debolezza estrema. Simili iniziative sono un’occasione per nuovi posti di lavoro, quindi un arricchimento dell’offerta formativa, ma anche un modo per restare fedeli, in questo 2023 che ricorda il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, di onorare lui che per primo ha inventato una scuola parentale nella sua parrocchia, scuola pubblica perché aperta a tutte e tutti, ma certo scuola non immediatamente connessa con il sistema statale, Barbiana è stata di fatto, pur essendo nella sostanza una scuola privata, appunto una scuola parentale, il punto più alto della nostra istruzione pubblica e statale, che lui e i suoi studenti amavano e desideravano accogliente, decisa e determinata a trasmettere i saperi, inclusiva.
Merito e articolo 34 della Costituzione Italiana
di
Davide Rossi
Segretario generale SISA
e
Coordinatore nazionale del Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani
“La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” (Articolo 34 della Costituzione Italiana)
Proprio per favorire quei meritevoli, spesso economicamente poveri, che avrebbero meritato il sostegno dello Stato, la Costituzione in pieno accordo con don Lorenzo Milani, avrebbe dovuto creare borse di studio, assegni per l’accesso all’università e molto altro. Si è sempre fatto in realtà molto poco, anzi, peggio, si è fatta una selezione censitaria, i ricchi studiano anche se non sono brillanti, i poveri spesso lasciano gli studi e lavorano aiutando la famiglia, alcuni con mille sforzi studiano lavorando. I dirigenti del SISA si sono tutti laureati lavorando, studenti – lavoratori, altra categoria dimenticata dallo Stato e per la quale si fa troppo poco, nonostante le mille parole sull’educazione continua.
Don Milani diceva che la selezione è contro la cultura. Mettere la parola merito nel nome del ministero che dovrebbe essere dell’istruzione pubblica, ma che pubblica non è più grazie ai sinistrati che hanno rimosso l’aggettivo più che qualificativo, è una innovazione che resta difficile da intendersi almeno per il momento.
Che cosa si intende? Che un ragazzo o una ragazza che abbia votazioni più che meritevoli e voglia accedere agli studi universitari sarà finalmente aiutato?
Esiste poi un merito sotto i mattoni? Il 50% delle strutture scolastiche sono pericolanti, lo stato meritevole vorrà meritevolmente mettere mano all’edilizia scolastica? O dovremo ancora assistere ad ATA, docenti e studenti che muoiono tra i banchi?
Perché strade, ferrovie, scuole e ospedali sono le vere opere pubbliche che dovrebbero essere messe in sicurezza, di lavori pubblici e infrastrutturali vi è un gran bisogno, ma certo non di grandi opere.
Merito, dunque, che cosa si intende? Che i professori saranno più severi? La polizia è pronta a scortare tutti i professori che metteranno un 4 e finiranno sotto minaccia da parte di genitori non troppo educativi?
E ancora, la scuola sia seriosamente più severa, ma deve essere anche accogliente, capace di coinvolgere ed entusiasmare i discenti, compito della scuola è costruire i saperi, non selezionare.
Tra l’altro selezionare tra chi? Tra i pochi discenti che ci sono rimasti? Ma a Roma in via Trastevere lo sanno o fanno finta di non sapere che migliaia, non centinaia, lo ripetiamo, migliaia di ragazzi abbandonano gli studi e finiscono chiusi in casa, alimentando il fenomeno degli “hikikomori”, giovani che spariscono dalle scuole e dalla società, nella disperazione loro e delle famiglie?
Possiamo dire che un merito sarebbe riportarne a scuola almeno qualcuno e certo non farne scappare molti altri?
Insomma a parlare e blaterare di merito si fa alla svelta, in realtà i problemi sono tanti e sono seri e varrebbe la pena affrontarli. Attendiamo segni precisi, ve ne è bisogno, fuor di polemica, anche perché non è detto che si riesca a risolverli, tuttavia almeno bisognerebbe provarci.
Milano, 25 ottobre ’22
CENTENARIO MILANIANO
Come si vede, il centenario milaniano riscuote interesse e risveglia il dibattito sul priore e sulla sua esperienza pedagogica. Anche noi del CENTRO DI FORMAZIONE E RICERCA DON LORENZO MILANI siamo lieti di partecipare a questo momento di riflessione e di promozione della sua insuperabile eserienza pedagogica. Tutte e tutti, gruppi, scuole e istituzioni che desiderassero la nostra presenza per convegni e dibattiti, incontri e simposi, possono contattarci ad [email protected] , in maniera da poter verificare la possibilità di una nostra presenza.
grazie
il primato della Costituzione
"Io dico a un ragazzo: onora lo sciopero come la più alta espressione della tua dignità di uomo. Lo sciopero è un sacro istituto accettato dalla nostra Costituzione. Io a un ragazzo dico: sciopera sodo domani.”
don Lorenzo Milani
Firenze
3 gennaio 1962
incontro con direttori e presidi
parola del priore
“Lucio, che aveva 36 mucche nella stalla disse: la scuola sarà sempre meglio della merda. Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole.”
“Una scuola che seleziona distrugge la cultura.
Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose.”
“Voler bene al povero … significa … fargli capire che soltanto facendo tutto al contrario dei borghesi potrà passar loro innanzi e eliminarli dalla scena politica e sociale.”
“L’insegnante che boccia, boccia se stesso.”
don Lorenzo Milani
Liana Fiorani
Il Centro di Formazione e Ricerca don “Lorenzo Milani” saluta commosso la scomparsa di Liana Fiorani, autrice di importanti pubblicazioni, ricordiamo “Don Milani fra storia e attualità” nel 1997 per Libreria Editrice Fiorentina, “Dediche a Don Milani dal cimitero di Barbiana” nel 2001 (ed. Qualevita) che raccoglie documenti relativi al periodo 1984-2000, completata poi con una nuova edizione (dal 2001 al 2010) che ha ricevuto anche il Premio Nesi. Da menzionare inoltre il suo catalogo con DVD allegato “Don Lorenzo Milani. Il destino di carta” (Ed. Il Mulino), vera pietra miliare per gli studi milaniani, in assoluto la più curata delle rassegne stampa esistenti.
Rodari e don Milani
Gianni Rodari resta uno dei giganti della letteratura italiana e mondiale del Novecento, leggerlo aiuta a sorridere con intelligenza del futuro, leggere i suoi scritti politici ci insegna ancora oggi come una vita di militanza sia più ricca di soddisfazioni di una ripiegata individualisticamente nel proprio universo privato, tutte scelte che lo hanno affiancato al più grande pedagogista italiano del Novecento, don Lorenzo Milani, da lui ricordato il 1° ottobre 1967 a qualche mese dalla scomparsa del priore di Barbiana sulle pagine di “Paese sera”: “Una violenta denuncia della nostra scuola è contenuta in "Lettera ad una professoressa" in cui gli allievi di don Milani hanno narrato la loro esperienza scolastica e illustrato i frutti delle loro ricerche. Il libro è un po' un testamento del prete toscano, ma non spirituale, meglio dire di lotta. Un libro urtante, "cinese", addirittura, in certe affermazioni da "rivoluzione culturale". Non risparmia nessuno. Di una sincerità a volte brutale. Con tutto ciò, il più bel libro che sia mai stato scritto sulla scuola italiana, il più appassionante, il più vero. Vi si respira e misura la rivolta, l'aspirazione inarrestabile alla cultura, la volontà di cultura a tutti costi in cui si muta una profonda presa di coscienza dei propri diritti. Vorremmo consigliarlo a tutti gli insegnanti italiani, perché, nella sua durezza, è un appello alla grandezza della loro missione: anche nella critica ingiusta è un canto d'amore verso la scuola.”
Studiare non è un sovvertimento!
Un preside:”Lei vuole arrivare al sovvertimento e alla rivoluzione!” don Milani: ”Studiare non è un sovvertimento! Chi studia, un giorno si ribellerà con lo sciopero, attività legale! Con l’organizzazione sindacale, attività legalissima e sacrosanta!” Un altro preside: “Lei sta preparando a questi ragazzi un avvenire da rivoluzionari. (detto con negativa preoccupazione)” don Milani: ”Io amo ciascuno dei miei ragazzi, e cerco di fare per loro la scuola migliore, perché crescano al massimo in tutti i sensi, nella generosità. … Li abituo al pacifismo.”
Firenze – 3 gennaio 1962 - incontro con Direttori e Presidi
“Il Sole 24 Ore”, un quotidiano che a Barbiana non esitavano a definire padronale, al pari de “Il Corriere della Sera” e de “La Nazione”, ha rilanciato, a cinquant’anni dalla scomparsa di Lorenzo Milani, l’idea che l’opera del priore possa iscriversi nel contesto di un marcato “odio di classe”, è forse una forzatura, ma coglie nel segno se intende riconoscere a quella straordinaria esperienza pedagogica la volontà di propugnare una radicale eguaglianza fondata sulla partecipazione e la cultura, in ogni caso antitetica a ogni buonismo pretesco. Un’eguaglianza perseguita con una vivacità polemica e una generosa intelligenza che non hanno pari nella storia pedagogica italiana del Novecento. Davide Rossi, professore in una Barbiana di oggi, il Centro Provinciale Istruzione Adulti di Milano, che offre corsi di lingua italiana e possibilità di conseguire la terza media ai nuovi cittadini provenienti da tutto il mondo, è Coordinatore nazionale del Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e in questo libro riflette, commentando e proponendo una selezione di pensieri del priore, sulla carica innovatrice e la profonda umanità di quell’esperienza straordinaria e singolare, capace di offrire dal 1954 al 1967 una scuola a chi dalla scuola era escluso. Completano il libro una serie di testimonianze del mondo milaniano, senza alcuna pretesa di esaustività, ma con la certezza che il seme di Barbiana sia plurale e non possa essere ridotto a interpretazioni univoche, purché non ci si dimentichi che “la selezione è contro la cultura”.
VISITA ALLA TOMBA DI DON LORENZO MILANI
DISCORSO COMMEMORATIVO DEL SANTO PADRE
Giardino adiacente la Chiesa di Sant'Andrea a Barbiana (Firenze)
Martedì, 20 giugno 2017
Cari fratelli e sorelle, sono venuto a Barbiana per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone, con la stessa donazione di sé che Gesù ci ha mostrato, fino alla croce.
1. Mi rallegro di incontrare qui coloro che furono a suo tempo allievi di don Lorenzo Milani, alcuni nella scuola popolare di San Donato a Calenzano, altri qui nella scuola di Barbiana. Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi, che il Signore gli aveva affidato. E siete testimoni della sua passione educativa, del suo intento di risvegliare nelle persone l’umano per aprirle al divino.
Di qui il suo dedicarsi completamente alla scuola, con una scelta che qui a Barbiana egli attuerà in maniera ancora più radicale. La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. E quando la decisione del Vescovo lo condusse da Calenzano a qui, tra i ragazzi di Barbiana, capì subito che se il Signore aveva permesso quel distacco era per dargli dei nuovi figli da far crescere e da amare. Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole. Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità.
2. Sono qui anche alcuni ragazzi e giovani, che rappresentano per noi i tanti ragazzi e giovani che oggi hanno bisogno di chi li accompagni nel cammino della loro crescita. So che voi, come tanti altri nel mondo, vivete in situazioni di marginalità, e che qualcuno vi sta accanto per non lasciarvi soli e indicarvi una strada di possibile riscatto, un futuro che si apra su orizzonti più positivi. Vorrei da qui ringraziare tutti gli educatori, quanti si pongono al servizio della crescita delle nuove generazioni, in particolare di coloro che si trovano in situazioni di disagio. La vostra è una missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. Una missione di amore, perché non si può insegnare senza amare e senza la consapevolezza che ciò che si dona è solo un diritto che si riconosce, quello di imparare. E da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune. Troviamo scritto in Lettera a una professoressa: «Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia». Questo è un appello alla responsabilità. Un appello che riguarda voi, cari giovani, ma prima di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti a pagare il prezzo che ciò comporta. E questo senza compromessi.
3. Infine, ma non da ultimo, mi rivolgo a voi sacerdoti che ho voluto accanto a me qui a Barbiana. Vedo tra voi preti anziani, che avete condiviso con don Lorenzo Milani gli anni del seminario o il ministero in luoghi qui vicini; e anche preti giovani, che rappresentano il futuro del clero fiorentino e italiano. Alcuni di voi siete dunque testimoni dell’avventura umana e sacerdotale di don Lorenzo, altri ne siete eredi. A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Sono note le parole della sua guida spirituale, don Raffaele Bensi, al quale hanno attinto in quegli anni le figure più alte del cattolicesimo fiorentino, così vivo attorno alla metà del secolo scorso, sotto il paterno ministero del venerabile Cardinale Elia Dalla Costa. Così ha detto don Bensi: «Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire» (Nazzareno Fabbretti, “Intervista a Mons. Raffaele Bensi”, Domenica del Corriere, 27 giugno 1971). Essere prete come il modo in cui vivere l’Assoluto. Diceva sua madre Alice: «Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale». Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli. Cari preti, con la grazia di Dio, cerchiamo di essere uomini di fede, una fede schietta, non annacquata; e uomini di carità, carità pastorale verso tutti coloro che il Signore ci affida come fratelli e figli. Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni. Amiamo la Chiesa, cari confratelli, e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità.
4. Prima di concludere, non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo scrisse: «Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…». Dal Card. Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: «Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità» (Nazareno Fabbretti, “Incontro con la madre del parroco di Barbiana a tre anni dalla sua morte”, Il Resto del Carlino, Bologna, 8 luglio 1970. Il prete «trasparente e duro come un diamante» continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa. Prendete la fiaccola e portatela avanti! Grazie.
[Ave Maria]
Lorenzo Milani antifascista
La rivista scandalistica di estrema destra “Lo Specchio” il 9 marzo 1965 manda Pier Francesco Pingitore, poi famoso per mediocri e volgari cabaret, anche televisivi, Giulio Schettini, cattolico legato ai neofascisti del cui giornale “Il secolo d’Italia” è stato redattore e il fotografo Bruno Tartaglia a Barbiana. L’intenzione è contestare il priore per la sua scelta a favore dell’obiezione di coscienza. Lorenzo Milani li riceve, ma appena ne capisce le intenzioni prende le dovute distanze. La conversazione, registrata da Pier Francesco Pingitiore, è pubblicata sul settimanale, con volontà di spicciola diffamazione. A nostro avviso invece ne emerge la radicalità evangelica del pensiero di Milani, quel pensiero di giustizia e di uguaglianza che rifiuta ogni sfruttamento e si riconosce, contro ogni oppressione, nella fratellanza umana e nella giustizia sociale.
Pier Francesco Pingitore: Buongiorno!
Lorenzo Milani: buongiorno! Volete parlare con me? Accomodiamoci dentro. Chi siete?
Pier Francesco Pingitore: Siamo giornalisti.
Lorenzo Milani: Di quale giornale?
Pier Francesco Pingitore: Sono il caporedattore del "Lo Specchio".
Lorenzo Milani: Ah, un giornale fascista!
Pier Francesco Pingitore: Fascista lo chiamano i comunisti.
Lorenzo Milani: Allora siete fascisti senz'altro!
Pier Francesco Pingitore: E perché?
Lorenzo Milani: Perché se lei dice così, vuol dire che è fascista senz'altro, non vi ricevo.
Pier Francesco Pingitore: Si spieghi meglio per cortesia, perché non vuole riceverci?
Lorenzo Milani: Perché siete fascisti!
Pier Francesco Pingitore: Ma è lei che ci qualifica come fascisti!
Lorenzo Milani: Ma voi siete dello "Specchio".
Pier Francesco Pingitore: Lei lo conosce "Lo Specchio"?
Lorenzo Milani: Mai letto.
Pier Francesco Pingitore: Come fa allora ad affermare che è un giornale fascista?
Lorenzo Milani: Me lo hanno detto. Vorrei tanto ricevervi e farvi parlare un po', per far ridere i miei ragazzi, ma non mi fido.
Pier Francesco Pingitore: Ci spieghi perché non si fida.
Lorenzo Milani: Perché siete fascisti e i fascisti sono i nostri nemici. Se parlo, poi voi dite le falsità.
Pier Francesco Pingitore: Bene, allora le faccio una proposta. Ho qui un registratore, registreremo la conversazione. Lei ha per testimoni i ragazzi ed io le prometto che pubblicherò con esattezza tutto ciò che sarà registrato e solo quello.
Lorenzo Milani: No, non mi fido lo stesso.
Pier Francesco Pingitore: Ma perché non si fida? Ce lo spieghi.
Lorenzo Milani: Perché siete fascisti. Siete pagati dai nostri oppressori.
Pier Francesco Pingitore: Ma chi le dice che siamo pagati dagli oppressori?
Lorenzo Milani: Il suo giornale.
Pier Francesco Pingitore: Ma se non lo ha mai letto?
Lorenzo Milani: Allora mi dica lei che cosa è il suo giornale.
Pier Francesco Pingitore: Il mio è un giornale democratico, orientato a destra. È un giornale che in questo momento sta all'opposizione e si batte contro il centro sinistra.
Lorenzo Milani: Ecco, lo vede che è fascista! Siete contro il centrosinistra che per noi è una soluzione di estrema destra, figuratevi un po'! Siete proprio dalla parte degli oppressori, dei padroni che affamano il popolo e rovinano il Paese.
Pier Francesco Pingitore: Come può dire questo?
Lorenzo Milani: Perché, se no, siete contro centrosinistra?
Pier Francesco Pingitore: Siamo contro il centrosinistra perché ha arrestato e compromesso lo sviluppo del Paese. Tre anni fa Riccardo Lombardi, che certo lei non potrà accusare di essere un fascista, dichiarò al congresso del PSI che nei prossimi cinque anni il neocapitalismo avrebbe risolto i maggiori problemi della società italiana, assicurando la piena occupazione e un tenore di vita allineato con quello dei paesi più ricchi. La classe operaia, disse Lombardi, avrà così soddisfatto tutti i propri bisogni e ci abbandonerà, per questo il PSI deve inserirsi adesso nei sistema e trasformarlo finché siamo ancora in tempo. Guardiamo ora la situazione odierna: tre anni di centrosinistra hanno provocato la crisi economica e un milione di disoccupati. Ritiene lei che la piena occupazione e un tenore di vita sempre più alto fossero ideali da padroni, da oppressori?
Lorenzo Milani: Ah, come vorrei risponderle. Ma non mi fido, siete pagati dagli oppressori.
Pier Francesco Pingitore: Ma chi sono gli oppressori? I due terzi dell'industria italiana appartengono in tutto o in gran parte allo Stato. Allora anche lo Stato è un oppressore.
Lorenzo Milani: Forse meglio farli uscire, non mi fido. Sono combattuto tra la tentazione di rispondere e quella di buttarli fuori, non voglio, ragazzi, che si dica che ho collaborato con loro.
Pier Francesco Pingitore: Ma lei non collabora. Si crede nella bontà delle sue idee, io le offrono il mezzo di esporle su un giornale e quindi di farle giungere ad un pubblico al quale altrimenti non potrebbero arrivare.
Lorenzo Milani: No. Non voglio collaborare con voi che siete i nostri oppressori. I fascisti o sono farabutti o sono in malafede. Avrei la tentazione, ripeto, di parlare con voi per far ridere i miei ragazzi e la tentazione di cacciarvi via e sbattervi la porta dietro.
Pier Francesco Pingitore: Fra queste tentazioni, scusi, la sua carità cristiana dove va a finire?
Lorenzo Milani: Non si può avere carità per i fascisti, o sono bischeri o sono in malafede. Nell'un caso o nell'altro non servono. Ehi, lei, che cosa fa con quella macchinetta? Qui non si fanno foto. Ragazzi tenetelo d'occhio. E lei si vergogni.
Fotografo: E perché? Che male c'è, io faccio il mio lavoro.
Lorenzo Milani: Bel lavoro! Al servizio dei nostri oppressori! Certo, ci sono tanti tipi di lavoro: anche Ghiani faceva il suo lavoro strangolando la signora Fenaroli, anche i mercenari del Congo lavorano. Faccia un lavoro migliore, si trovi padroni migliori.
Pier Francesco Pingitore: E per chi dovrebbe lavorare? Magari per l'Unità?
Lorenzo Milani: Certo sarebbe meglio. Non vorremo mica fare paragoni fra loro e voi! I comunisti sono persone perbene. Stanno dalla parte dei lavoratori.
Pier Francesco Pingitore: Secondo lei, dunque, tutta la classe imprenditoriale è composta da oppressori? Il professor Valletta (capo della Fiat e di Confindustria) è un oppressore?
Lorenzo Milani: Ma sentitelo e poi dice che non è fascista! Dice che Valletta non è un oppressore, no, chissà chi è! È un benefattore del popolo! Vero ragazzi??!! Senta, io ammetto che si possa essere di qualunque partito, perfino liberali, guardi, ma non del suo!
Pier Francesco Pingitore: Io non sono di nessun partito!
Lorenzo Milani: Appunto! Questo è il fascismo: non essere di nessun partito e servire quelli che ci sfruttano e fanno le guerre. I fascisti o sono stupidi o sono farabutti. Vi ho detto di entrare solo per dare spettacolo ai ragazzi, per mostrarvi, per farli divertire, così, come quando si portano i ragazzi allo zoo.
Pier Francesco Pingitore: Lei non sta rispondendo alle mie domande. Al contrario tiene un atteggiamento tale per cui mi chiedo come possa indossare ancora quella veste.
Lorenzo Milani: Ah, come vorrei rispondere! Farei tanto divertire ragazzi, ma non voglio che si possa dire che ho collaborato con voi! Servi degli oppressori! No, basta, ragazzi, non si può collaborare con costoro. Questi due sono due farabutti e il fotografo è un disgraziato che mi fa pena.
Pier Francesco Pingitore: Chi è farabutto?
Lorenzo Milani: Lei è un farabutto!
Pier Francesco Pingitore: Allora lei è un mascalzone!
Lorenzo Milani: Siete dalla parte degli oppressori, perciò siete dei farabutti!
Pier Francesco Pingitore: E lei è doppiamente mascalzone, perché prima mi fa entrare nella sua casa poi e mi insulta!
Lorenzo Milani: Siete voi che siete venuti a rompere i c...!
Pier Francesco Pingitore: Mi dispiace solo per voi ragazzi, arrivederci!
La posizione di Lorenzo Milani è anche confermata da Neera Fallaci nella splendida biografia di Milani: “Dalla parte dell’ultimo”. La giornalista ricorda come l’esperto di temi ecclesiastici dell’Espresso Carlo Falconi e Lorenzo Milani, conosciutisi 1959, siano entrati presto in attrito, Lorenzo Milani infatti ritiene “L’Espresso” un giornale arrogante scritto da un elite intellettuale per un’elite intellettuale, quindi nella sostanza un foglio di natura e di interessi borghesi come quelli di destra. Falconi traccia un ritratto molto aderente alla realtà di Lorenzo Milani: “Comunista, don Milani, lo è certamente, sia pure a modo suo, e cioè senza tessera e con la fede religiosa: l’epiteto che lo qualifica meglio, però, è classista. Il suo dogma sociale, infatti, è estremamente semplice, al mondo non esistono che poveri e ricchi, oppressi e oppressori. Da ciò, con dialettica inesorabile, deduce tutte le conseguenze. Per gli altri, s’intende, ma prima di tutto per sé, come uomo e come prete.”
l'attualità di don Milani
crediamo in una scuola partecipata, in cui docenti e discenti, nel rispetto dei reciproci ruoli, costruiscano i saperi che rendono cittadini.
GIANNI RODARI
1920 - 2020
Il diritto alla fantasia
Milioni di libri di Gianni Rodari sono stati stampati in tutte le lingue del mondo, soprattutto in russo e in italiano. Poiché è nato il 23 ottobre 1920 a Omegna, il 2020 è questo l’anno rodariano, giusto omaggio a un grande scrittore che si è battuto per garantire il diritto alla fantasia nella scuola e nella società, consapevole che solo chi getta semi al vento farà fiorire il cielo.
Canzone alla rovescia
Il nonno
Conosco una canzone alla rovescia
e alla rovescia la voglio cantare:
una foca volò sul Monte Bianco
e una giraffa camminò per il mare.
Il nipote
O nonno, raddrizzate
la vecchia canzone:
la giraffa viaggiava su nave,
la foca su un aereo a reazione.
Il nonno
Conosco una canzone alla rovescia
e alla rovescia ve la voglio dire:
ho visto seminare sulle nuvole
e sulle nuvole fiorire.
Il nipote
O nonno, raddrizzate
anche questa canzone:
il fiore era una rosa, su uno Sputnik partì,
ben più in alto delle nuvole fiorì.